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Nella valle incantata degli spazzacamini 


Arrivare fin qui, nel paese degli spazzacamini, dopo la serie di ripidi tornanti, su su, a ottocento metri di altezza, nel cuore della Val Vigezzo, fa pensare al lieto fine che suggella sogni e favole di ogni tempo. Santa Maria Maggiore, Verbania, estremo lembo di Piemonte tra Domodossola e Locarno, sembra uscita da un libro di fiabe illustrato da un bambino meticoloso ed esigente: la piazza, la chiesa, il campanile aguzzo, le montagne. Disposto lungo il Corso, un pugno di case dai tipici tetti di beola, la pietra locale adagiata sfoglia a sfoglia, “leggera” come le tegole di marzapane della favola di Hänsel e Gretel . Case di pregio, con larghi giardini e facciate affrescate proprio da quei vigezzini che per secoli andarono raminghi a ritrarre aristocratici e borghesi di mezza Europa. A testimoniarlo è la Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini, dal 1878 fervido laboratorio di artisti che, insieme agli spazzacamini, hanno scritto la storia di questa gente. Pittori e ritrattisti che già nel Seicento fuggivano da qui in cerca di fortuna. E sempre tornavano, un po’ più celebri e ricchi, a dar lustro a Druogno, Santa Maria Maggiore, Malesco, Toceno, Craveggia, Villette e Re, i piccoli comuni della Valle. Sette perle al collo delle Alpi. Legate, allora, dallo stesso filo: la miseria. Quella, sconosciuta in questo obeso millennio occidentale, ma neppure troppo lontana, che faceva “abbaiare le volpi” per la fame, e spingeva i suoi Pollicini giù, nella Bassa, nell’inferno claustrofobico di fuliggine e nebbia. Bambini dai cinque agli undici anni, «che le famiglie davano in affitto al padrone, il faìsc , per fare la stagione nelle pianure del Nord: andavano via in autunno, li riportavano a primavera. Quando li riportavano...», dice Benito Mazzi, 65 anni, scrittore e giornalista (è fondatore e direttore del settimanale Eco dell’Ossola-Risveglio Ossolano ), che ai piccoli spazzacamini della Val Vigezzo ha dedicato un libro bello e duro , Fam, füm, frecc (Fame, fumo, freddo n.d.r , Priuli & Verlucca editori), frutto di trent’anni di appassionata ricerca. Dice Mazzi: «Tra le forme di emigrazione, un tempo unica risorsa di queste vallate, quella dello spazzacamino, dei rüsca come si chiamano ancora in Vigezzo, Cannobina e Canton Ticino, fu senza dubbio la più diffusa, specialmente a livello minorile. Un lavoro che nessuno in città voleva fare: solo i disperati potevano spingere in quel buco al buio i propri figli». Disperati come i vigezzini, e molte altre popolazioni alpine, dalla Valle d’Aosta al Trentino. Ma è proprio da qui che, già dal Cinquecento, comincia l’esodo degli “uomini e dei bambini neri”. «Nel 1548 lo storico Johannes Stumpf descriveva la Val Vigezzo come la Valle degli spazzacamini ( Kamifegertal ). Francia, Svizzera, Germania, Olanda, Belgio, Austria erano le mete preferite per chi andava oltre confine, deciso a fare fortuna. E qualcuno ci riuscì, diventando mercante, gioielliere, inventore. Sì, l’acqua di Colonia e il calorifero ad aria calda sono “frutto” dei vigezzini. E abbiamo pure un eroe: un piccolo spazzacamino di Villette, che, nell’ottobre 1612, sventò una congiura contro Luigi XIII». Una storia incredibile. Che Benito Mazzi, scrittore di saggi, libri per ragazzi e romanzi ( Nel sole zingaro . Storie di contrabbandieri , edito da Interlinea, è entrato nella selezione dello Strega nel 1998) ci offre come una bella fiaba. «Si racconta che il bambino, dopo aver pulito un comignolo del Louvre, dove allora era la reggia, imboccò nella discesa una canna fumaria sbagliata, finendo in una sala dove, non visto, udì i propositi dei congiurati. Sul trono di Francia sedeva allora Maria de’ Medici, reggente per il piccolo Luigi. E fu lei, con decreto reale e come segno di ringraziamento, a consentire ai “pauvres ramoneurs du pays de Lombardie”, cioè agli spazzacamini di Villette, Cravegga e Malesco (la Val Vigezzo sarà annessa al Piemonte solo nel 1743), il libero commercio di chincaglieria, attività vietata in Francia, a cui si dedicavano gli spazzacamini quando non c’era lavoro, tra le proteste dei negozianti». Un privilegio, quello concesso ai vigezzini, rinnovato dai successori di Luigi XIII, abolito dalla Rivoluzione francese. Ma non è la grande Storia, né la corte, il regno dei piccoli spazzacamini stagionali. Per loro solo fam, füm, frecc . Fatica, angherie, botte, paura. Infinita nostalgia di casa. «Un odioso sfruttamento infantile che esplose soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Trenta: non c’era quasi famiglia di questa Valle che non si vide costretta a cedere in affitto almeno uno dei suoi figli ai “padroni”, che setacciavano i paesi alla ricerca dei bambini da portarsi dietro, in pianura. Su 6000 vigezzini, almeno 800 erano spazzacamini», rivela Mazzi. Bambini troppo piccoli, e troppo pochi («mai più di quattro per padrone, che così correva meno rischi di incidenti e li controllava più facilmente») per ribellarsi al faìsc che li guidava, come un cinico Pifferaio di Hamelin, in città sconosciute e ostili. «E per un ingrato destino, erano proprio i più smilzi e i più giovani d’età, i più richiesti». Solo loro infatti erano in grado di salire dentro i camini: cinquanta, sessanta centimetri di diametro. Un inferno di polvere e fuliggine. Dovevano arrampicarsi lungo il tubo sorreggendosi con ginocchia e gomiti. Scalzi, il volto coperto dalla caparüza , un berrettone a forma di sacchetto, completamente chiuso, che copriva occhi e bocca. Dentro il camino, al buio e “cieco”, il piccolo r ü sca lavorava tastando con le mani e grattando con la raspa, su su, fino ad arrivare in cima. «Solo allora alzava il braccio, gridando “spazzacamino”: era la prova del lavoro compiuto. Poi, scendendo, ripuliva accuratamente le pareti con lo scopino. Infine, raccoglieva la fuliggine in un sacco, che il faìsc rivendeva a giardinieri e contadini, come concime. E via, dentro un altro camino. Si lavorava “da stelle a stelle”: dall’alba al tramonto. E spesso con un solo pezzo di pane nello stomaco. Il padrone? Lui non muoveva un dito, controllava che tutto fosse fatto a regola d’arte. Ed intascava», dice lo scrittore, il vigezzino Mazzi. Che ha ancora un fremito di rabbia, e commozione, quando racconta: «All’inizio del Novecento, in Cannobina, per la stagione di un bambino il r ü sca versava ai genitori cento lire (lui ne ricavava in media seicento). In Val Vigezzo la tariffa era inferiore: dalle 50 alle 60 lire. Sei mesi di lavoro bastavano appena per comprare un paio di scarpe, o un pantalone nuovo». 
Storie d’altri tempi, si dirà, storie di confine («Ma quante altre infanzie, oggi, sono sfruttate, umiliate, violate?», sottolinea Mazzi). Storie raccolte con infinito amore da un “uomo di montagna”, che sta per aprire una sua libreria, a Santa Maria Maggiore («ci saranno solo libri che parlano di queste vette, della storia e della cultura della mia gente»). E che di questa Valle ha raccontato ogni aspetto, custodito ogni memoria, in tante pubblicazioni. Sorride: «Ognuno sceglie il proprio osservatorio: questo è il mio mondo. Lo diceva anche Balzac: se vuoi essere universale, scrivi del tuo paese». 

 
  

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Antonio@Enio